Da pigmento al veleno a bandiera dei movimenti ecologisti: il verde, colore della natura per eccellenza, è una delle tinte più difficili da sintetizzare e, forse per questo motivo, associato alla volubilità e all’inganno. Leggi l'articolo per scoprire tutte le positività e negatività di questo colore dalle molteplici sfumature.
Il verde è il colore della sostenibilità e dell’ecologia per antonomasia, tanto che è ormai comune, in particolare nell’ambito della comunicazione tecnica nel settore dell’industria manifatturiera, incontrare la definizione di azienda “green”. Si tratta però di un’associazione mentale ingannevole che richiama il mondo della natura e di ciò che risulta “pulito” per essa, perché il verde è una delle tinte più difficili da sintetizzare e il suo processo di produzione è tra i più complessi ed inquinanti, e lo stesso si può affermare per il suo smaltimento. Come dichiara infatti il chimico Michael Braungart in un’intervista di qualche anno fa al New York Times, “Il colore verde non potrà mai essere eco, a causa del modo in cui viene creato. È impossibile colorare di verde la plastica, o stampare con inchiostro verde su carta, senza contaminare. Ironico, vero?”.
Ottenuto dalla combinazione di giallo, il colore della gioia e del blu, il colore della tranquillità, il verde rimane comunque un colore positivo, proprio grazie alla sua connessione con la natura: il verde evoca sentimenti come rinascita, freschezza, vitalità e pace. Il verde favorisce il relax, ed ecco perché gli ambienti con elementi verdi sono pacifici e nutrono la mente, fino – si crede – a migliorarne la concentrazione. E’ anche il colore della speranza, della vitalità, della fertilità e dell’abbondanza. Nei semafori rappresenta il via libera, al contrario del colore rosso che obbliga a fermarsi. E’ tuttavia anche il colore dell’invidia, del diavolo medievale, della mancanza di risorse economiche (“essere al verde”), del disgusto e del veleno. Era un colore apprezzato fin nell’antichità, ma proprio perché difficile da ottenere, uno dei colori più problematici per la produzione artistica.
L’origine della parola “verde”
Il “verde”
(in inglese “green”, in francese “vert”, in spagnolo e portoghese “verde” e in tedesco “grün”) era considerato dagli antichi una sfumatura di colore associata al giallo. Ce lo rivelano la radice indoeuropea ghel, che significava anche brillante, splendente, e il proto-germanico gewalz, che indicava appunto entrambe le tinte. Da qui sono nati i termini latini galbus (verde pallido) e galbinus (giallo). I primi a separare i due colori furono i greci: in greco antico, la stessa radice protoindoeuropea si è evoluta in khloròs, parola associata con meno ambiguità al verde pallido, tanto da diventare più tardi essa stessa radice di clorofilla. Il termine italiano verde deriva quindi dal latino viridis, diventato poi virdis, che a sua volta era legato al verbo vireo, cioè germogliare, etimologicamente connesso a vigore, vegetare e vita (dalla radice protoindoeuropea weg-). Lo stesso percorso è stato compiuto anche dal termine inglese “green”, derivante dal protoindoeuropeo ghreh- e dal protogermanico groniz, da cui si arriva, per nulla casualmente, anche al verbo grow (crescere).
Il verde nella storia antica
Al contrario del blu e del rosso, non c’è traccia di verde nelle pitture preistoriche, forse proprio perché sulle pareti delle grotte venivano utilizzati i colori trovati in natura, di cui non abbiamo più traccia. Le prime testimonianze dell’utilizzo di questa tinta risalgono a 5000 anni fa, quando gli antichi Egizi scelsero questo colore per rappresentare la vegetazione e la fertilità del Nilo, che inondava con le sue acque la terra rendendola rigogliosa. La divinità egizia Osiride era spesso rappresentata con la pelle verde, proprio per simboleggiare la rinascita e la fertilità. In alcune tombe dell’epoca sono state rinvenute tavolozze di trucchi per il viso di colore verde, ottenuto con la malachite, un minerale verde ricco di rame che veniva polverizzato e usato come pigmento: gli egizi avevano l’usanza di truccare il bordo degli occhi con la tinta verde per proteggersi dal male. La stessa credenza si ritrova per i defunti: piccoli amuleti di colore verde a forma di scarabei, realizzati in malachite, sono stati ritrovati all’interno delle tombe, probabilmente lasciati proprio con lo scopo di proteggere il defunto.
Oltre alla malachite, per ottenere la tinta verde venivano utilizzati pigmenti come il verdigris e il verde egizio: il verdigris era un composto di acetato di rame, ottenuto dalla corrosione del metallo, mentre il verde egizio era una miscela di malachite, azzurrite e altri minerali che veniva preparata sinteticamente.
Per colorare di verde i tessuti, prima venivano tinti di giallo con pigmenti a base di zafferano e poi imbevuti nella tintura blu ricavata dalle radici della pianta del guado.
Sfumature di verde nel Medioevo
Se nella Roma del Basso Impero i neonati erano avvolti in stuoie verdi per augurare loro una buona sorte, nel Medioevo questo colore era scelto dalle ragazze in cerca di marito che, poi, una volta sposate, lo indossavano come augurio di maternità. Ma, forse proprio a causa della sua instabilità nella tintura dovuta al processo di composizione difficoltoso, nel Medioevo il verde era anche associato all’inganno e all’astuzia e, quindi, rappresentava il colore del Diavolo, delle streghe e degli animali fantastici più spaventosi come i draghi, i serpenti mostruosi come l’idra e il basilisco, e le sirene.
Fin dai suoi primi giorni, il colore verde è stato associato all’Islam, perché legato ad una frase del Corano che recita: “coloro che abitano il paradiso indosseranno raffinati abiti di seta verde”. Così le moschee sono decorate in vari colori ma quasi sempre con toni verdi predominanti e le tombe dei santi sufi, la dimensione mistica dell’Islam, sono ricoperte di seta verde. Ecco perché la tribù del profeta Maometto aveva uno stendardo verde e quasi tutti i paesi islamici usano questo colore nelle proprie bandiere.
Il verde mantiene il suo fascino controverso anche nella storia occidentale del secolo XV e XVI: la tradizione di buon auspicio del colore verde si conferma nel famoso “Ritratto dei coniugi Arnolfini” di Jan van Eyck (1434-35) in cui la donna raffigurata non è incinta, come si potrebbe indovinare a causa della foggia dell’abito, ma si pensa sia stata raffigurata in quella posizione e in verde come rito propiziatorio per una numerosa progenie.
Il verde al veleno
Il punto di svolta nella diffusione artistica – e non solo - di questo colore avvenne in epoca vittoriana, quando si diffuse l’usanza di ottenere la tinta verde aggiungendo arsenico, la sostanza altamente tossica che si ritiene causa del decesso dei numerosissimi che maneggiarono libri, giocattoli, oggetti decorativi o, solamente, dimorarono in stanze decorate con questo tipo di tintura. Sia il verde di Scheele, messo a punto nel 1775 dal chimico svedese Carl Wilhelm Scheele, che ebbe subito un successo straordinario grazie alla sua intensità e resistenza alla luce, sia il verde di Parigi o verde di Schweinfurt, costituito da arsenico e piombo, di cui s’innamorarono i pittori impressionisti nel corso del XIX secolo, sono ritenuti i responsabili delle intossicazioni che costarono la salute o la vita dei molti entrati in contatto con i pigmenti verdi tossici. Solo per citare uno dei casi più famosi, la residenza di Napoleone Bonaparte in esilio sull’isola di Sant’Elena, Longwood House, aveva le pareti dipinte con questa tinta. Fu infatti Goethe, per primo, nella sua “Teoria dei colori”, a considerare la tinta verde “rasserenante” e a raccomandarne l’impiego nei locali destinati al riposo e al convivio e il movimento romantico della fine del 1700 a sdoganare il verde come colore della natura, dell’ecologia e dell’ambiente, così come è arrivato ai nostri giorni.
Qualche curiosità sul colore verde
Alcune teorie sostengono che la casacca originale di Babbo Natale, prima dell’intervento di marketing commerciale di Coca-Cola, fosse verde per richiamare l’origine “profana” della sua figura, collegata alla tradizione degli elfi che distribuivano i doni in alcuni Paesi del Nord Europa. Secondo il folklore d’Irlanda, l’isola verde per eccellenza, il verde è il colore preferito dalle fate.
Ed ecco alcune connotazioni – forse più negative - del colore verde: per rappresentare il personaggio di “Disgusto” i creatori del film Pixar “Inside Out” hanno scelto il verde, accanto a Gioia (giallo), Tristezza (blu), Rabbia (rosso) e Paura (viola). Anche in questo caso l’ambivalenza del verde è confermata dal personaggio che, all’interno del concept emozionale del film diretto da Pete Docter e Ronnie del Carmen, ha comunque una valenza positiva perché permette alla protagonista di proteggersi dalle contaminazioni fisiche e sociali.
Un’ultima curiosità ci riporta ai problemi legati alla realizzazione di questo colore: sapevate perché la pelle dell’Incredibile Hulk è verde? Secondo i ben informati, nella rappresentazione originale di Hulk, Stan Lee voleva che fosse grigio. Ma, a causa di alcuni problemi di stampa delle prime copie dei fumetti Marvel, la figura di Hulk virava dal grigio al verde, che siamo abituati oggi a vedere nei fumetti e nei film.