I ricercatori del Johns Hopkins APL hanno presentato un rivestimento polimerico sostenibile a base di enzimi per proteggere gli scafi.
Ispirandosi alla vita acquatica, i ricercatori del laboratorio di fisica applicata (APL) dell’università Johns Hopkins, con sede a Laurel (Maryland, U.S.A.), stanno sviluppando la bioconiugazione al di fuori del laboratorio e sugli scafi delle navi progettando una proteina non-tossica verniciabile che inibisce le incrostazioni organiche.
Di solito, i rivestimenti antivegetativi rallentano la crescita di organismi (funghi, batteri, alghe, vermi tubolari, cirripedi e mitili) sugli scafi delle navi, che ne aumentano la resistenza aerodinamica e il consumo di carburante e provocano la corrosione. Tuttavia, generalmente queste vernici si basano sulla tossicità del rame e di additivi a piccole molecole che agiscono come pesticidi quando penetrano nell'acqua di mare, distruggendo la vita acquatica.
“Molti animali marini non vogliono essere coperti dalle incrostazioni, perciò hanno sviluppato enzimi per proteggersi. Prendendo spunto da loro, abbiamo sviluppato un rivestimento enzimatico che può essere applicato direttamente sulle superfici”, ha spiegato Reid Messersmith, l'ingegnere molecolare del dipartimento di ricerca e sviluppo esplorativo di APL, che guida il progetto.
“Le incrostazioni organiche si sviluppano partendo da batteri che si depositano su una superficie. Quindi, se riusciamo a impedire la formazione di piccoli batteri, allora gli organismi più grandi non si depositerebbero”, ha aggiunto Ryan Baker-Branstetter, lo scienziato biologico che ha guidato la ricerca sugli enzimi e sulle soluzioni antivegetative.
I ricercatori avevano già identificato le proteine attive come potenziali agenti antivegetativi non tossici ma, fino a poco tempo fa, non erano in grado di legare efficacemente gli enzimi in una posizione specifica mantenendo la loro funzionalità. Per fare ciò, avevano bisogno di identificare un agente efficace, in grado di legare un enzima a un composto sintetico.
Il laboratorio APL ha ora presentato un rivestimento polimerico composto da enzimi con un legante a base di orto-ftaldialdeide (oPA) che è in grado di legare rapidamente gli enzimi alle superfici, impiegando meno di cinque minuti per formare uno strato.
“È difficile fare in modo che gli enzimi si attacchino a qualsiasi cosa e rimangano attivi nel processo. La bioconiugazione è una tecnica per accoppiare biomolecole naturali e composti sintetici. Ci sono stati risultati di laboratorio promettenti, che dimostrano che alcuni enzimi possono essere attaccati a determinate superfici, ma questi risultati non avevano mai trovato applicazione nel mondo reale”, ha continuato Messersmith. “Volevamo creare un approccio a ‘secchiello di vernice’, in cui qualcuno potesse avvicinarsi e applicare in modo efficiente ed efficace il rivestimento su una superficie. La prima proteina che abbiamo utilizzato nel 2021, una proteina fluorescente rossa, ha stabilito che la chimica alla base del sistema di rivestimento e del nostro legante funzionava. Questo ci ha permesso di rivisitare quali proteine avrebbero efficacemente impedito alle incrostazioni organiche di formarsi”.
Dopo diversi studi, i ricercatori hanno optato per la xilanasi – un enzima presente in natura prodotto da funghi, batteri, alghe marine e molti altri organismi, spesso utilizzato nella panificazione commerciale–- e una miscela di enzimi complessi lisanti, una molecola estratta da un fungo.
Il gruppo di ricerca ha usato un metodo chiamato click chemistry, che ha permesso loro di attaccare il rivestimento senza catalizzatore o calore. Dopo due mesi di immersione in acqua di mare artificiale, i rivestimenti a base di xilanasi e lisanti si sono rivelati altamente attivi, dimostrando la longevità del materiale e il suo potenziale come soluzione antivegetativa ecologica.
Inoltre, il team ha scoperto non solo che i rivestimenti impediscono ai batteri di aderire a una superficie, ma che sono anche in grado di rimuovere i batteri che si erano già depositati.
“Ho lavorato a molti progetti e, solitamente, la decima cosa che provi funziona. Ma è molto raro che il primo approccio funzioni. Il successo iniziale con gli enzimi ci ha permesso di approfondire altre questioni interessanti, come la longevità e l'attività delle vernici in una vasta gamma di condizioni ambientali”, ha concluso Baker-Branstetter.